sabato 5 dicembre 2015

Essere in pace: martirizzare il proprio falso io e ritrovare se stessi

Piuttosto che crocifiggere il nostro vero io possiamo dare fuoco alle nostre personalità distruttive ed illusorie.

di Andréana Lefton
originale in inglese tratto da bahaiteachings.org

Ai piedi di un antico maestro - di Roshnii Rose

La parola martire porta in sé un carico pesante.

Usata con rispetto può riferirsi a quelle vite innocenti che si sono sacrificate in nome di un ideale altruistico, come è il caso di Cristo. Usata per esprimere un atteggiamento psicologico negativo può riferirsi alle persone che si atteggiano a vittime per evitare le responsabilità. Recentemente estremisti violenti si sono impadroniti del termine per indicare chi uccide e muore nella guerra “santa”.

Ma le parole hanno anche un significato metaforico e le metafore si possono applicare anche alla realtà spirituale e non solo ai fatti puramente materiali. Dunque esaminiamo l’idea del martirio metaforico, in particolare in relazione alla libertà della mente da false percezioni ed errati convincimenti.

La parola martire deriva da termini latini e greci che significano testimone o testimone di torture. Risalendo ancora oltre nelle radici etimologiche il termine deriva dalla parola greca mermera che significa preoccupazione o difficoltà, da mermairein, ansioso o pensieroso. A loro volta questi termini derivano dal sanscrito smarati, ricordare, che è all’origine anche del latino memor.

Più si approfondisce l’origine etimologica meno il termine martire ha a che fare con il dolore e la tortura e più con il pensiero e la memoria. Così, forse, per smettere di danneggiare noi stessi e gli altri, anche noi dobbiamo andare all’origine di questa parola.

Spesso, quando usiamo il termine martire in senso figurato, questo assume una connotazione negativa. Un esempio comune è quello di una moglie definita martire. Questo indica un livello malsano di soggezione e auto negazione. Lo stesso termine, però, assume una connotazione positiva se parliamo di martirizzare i pensieri ingannevoli e le false personalità alle quali spesso ci attacchiamo.

Prendiamo un esempio comune: preoccuparsi eccessivamente di cosa gli altri pensano di noi. Non so voi, ma ogni volta che invio un’email o un messaggio che comporta anche solo una minima carica emotiva io mi preoccupo di come verrà percepito. Ho scritto troppo? Troppo poco? Sono stata troppo distante, troppo espansiva, troppo vaga, troppo arrogante? Come scrittrice so fin troppo bene quanta potenza possa esserci nelle parole. Questa conoscenza, però, può paralizzare piuttosto che rendere liberi.

Il timore di cosa le persone possano pensare di noi spesso nasce dal paragone che facciamo tra noi stessi e gli altri, o da un sentimento di inadeguatezza del nostro aspetto o delle nostre attività. Liberarci da paragoni malsani e da preoccupazioni eccessive per il giudizio altrui può essere difficile, specialmente in questa nostra epoca dominata dalle comunicazioni istantanee e da un eccesso di mass media. Questa liberazione, tuttavia, è essenziale per mantenere un sentimento equilibrato di calma interiore e di benessere.

Dunque come spezzare il ciclo di reazioni negative quando la mente si rivolta contro di noi, quando ci sentiamo interiormente battuti e perseguitati? Invece di restare aggrappati a queste illusioni malsane cosa possiamo fare?

Possiamo porre delle domande. Possiamo pregare e meditare. Possiamo calmarci e domandarci quale sia la nostra realtà più profonda. Se siamo una creazione di amore e giustizia, le nostre ansietà e autocritiche ci appaiono amorevoli o giuste?

In alternativa possiamo fare una scelta. Possiamo scegliere di restare aggrappati al nostro ego nefasto, amaro, angosciato, conflittuale. Oppure possiamo ricordare momenti di compassione, grazia e gentilezza. Possiamo ricordare con quanto impegno abbiamo provato ad essere positivi, ad essere noi stessi. Se, nonostante i nostri migliori sforzi, non siamo riusciti a vivere all’altezza delle nostre impossibili aspettative, piuttosto che crocifiggere il nostro vero io possiamo dare fuoco alle nostre personalità distruttive ed illusorie:
Ti supplico per Coloro Che sono gli Orienti della Tua essenza invisibile, la Più Eccelsa, la Più Gloriosa, di far della mia preghiera un fuoco che bruci i veli che mi nascondono la Tua bellezza e una luce che mi guidi all’oceano della Tua Presenza. (Bahá’u’lláh, Preghiere Bahá’í)
Sembra naturale chiedersi quale sia la differenza tra l’io vero e le false personalità. Specialmente se siamo stati abituati a prestare più attenzione ai dubbi interiori che ai migliori angeli della nostra natura. Le precedenti esperienze di molti di noi con ambienti e rapporti difficili o dolorosi ci portano spesso a vivere sotto il dominio oppressivo della falsità e a martirizzarci.

Gli insegnamenti bahá’í, tuttavia, ci dicono che anche i peggiori oppressori hanno la possibilità di redimersi:
…dimentica[re] la tua patria apparente per il tuo vero rango, e dimora[re] all’ombra dell’albero della Conoscenza. (Bahá’u’lláh, Le sette valli e le quattro valli 29)
Il sorgere di una nuova coscienza costituisce un’esperienza molto personale. Ad alcuni si presenta improvvisamente, forse catalizzato da un evento importante della vita. Per molti, invece, sfidare il dominio dell’ego richiede anni di battaglie dolorose e strazianti.

Invecchiando mi porto dietro l’esperienza di un numero sempre maggiore di conversazioni con anime coraggiose che si impegnano con costanza per mettere a nudo la propria vera realtà. Alcuni trovano aiuto in libri, terapie, amicizie e altri supporti. La maggior parte di questi imparano che hanno bisogno di tempo in silenzio e concentrazione per setacciare la fiumana di messaggi che la mente invia e trovare quei semi nascosti di dolce divinità.

Con la pratica di questa rassicurazione interiore si alleggerisce la pressione così come si alleggeriscono i corpi e le menti. Rendersi conto che parole come martire hanno sia un significato negativo che uno positivo rende possibile scegliere di sintonizzarci con le sue energie costruttive. In questo modo possiamo curare la nostra tendenza di esseri umani a torturare noi stessi e le persone che ci sono care.

I veri martiri non uccidono gli altri in nome di Dio, né si rimproverano in nome della perfezione. Al contrario usano il pensiero e la riflessione come strumenti per affrontare le ansietà personali e sistemiche, come le paure profonde che sono causa di razzismo, xenofobia e odio religioso. I martiri veri e positivi ricordano e testimoniano la nostra comune umanità.

In una portentosa tavola scritta da Bahá’u’lláh ad ogni fedele che eleva la sua supplica con sincerità viene promessa “la ricompensa di cento màrtiri e un benefizio da entrambi i mondi”. Ho meditato su questa frase per anni e anni, chiedendomi come una singola persona possa subire cento martìri e quale tipo di ricompensa spirituale possa essere quella indicata da questo passo. Forse, ritornando al martirio metaforico, questa promessa si riferisce, almeno in parte, alle innumerevoli false personalità che dobbiamo squarciare prima di poter dare uno sguardo al nostro vero io. E la ricompensa? Forse consiste nella libertà e nella grazia di diventare partecipanti attivi nella lotta dell’umanità per l’unità e la pace.


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Queste sono opinioni puramente personali e non rappresentano l'opinione della comunità bahá'í o di qualunque sua istituzione. Gli scritti bahá'í invitano ogni singolo ad una libera ed indipendente ricerca:
O FIGLIO DELLO SPIRITO!
Ai Miei occhi la più diletta di tutte le cose è la Giustizia; non
allontanartene se desideri Me, e non trascurarla acciocché Io
possa aver fiducia in te. Con il suo aiuto ti sarà possibile discernere
coi tuoi occhi e non con gli occhi degli altri, e apprendere
per cognizione tua e non con quella del tuo vicino. Pondera
ciò nel tuo cuore, come t’incombe d’essere. In verità la Giustizia
è il Mio dono per te e l’emblema del Mio tenero amore.
Tienila adunque innanzi agli occhi. (Bahá’u’lláhParole Celate, Arabo, n.2)

1 commento:

Anonimo ha detto...

Parole nuove, penetranti, ispiranti. Grazie.

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