giovedì 24 dicembre 2015

Quando il desiderio di far bene ci mette in difficoltà con i colleghi

di Susanne M. Alexander
Originale in inglese tratto da bahaiteachings.org


Cosa fare quando lavoriamo assieme ad altri colleghi ma i nostri risultati eccellono su quelli degli altri?

Un giovane che conosco bene ha praticato nuoto agonistico per la maggior parte della sua vita e ha allenato altri nuotatori negli ultimi 15 anni. Appassionato di questo sport, si dedica ad imparare come aiutare i suoi ragazzi a nuotare al meglio delle loro capacità e a puntare all’eccellenza. Vuole che i suoi nuotatori abbiano un atteggiamento da campioni e comprendano che essere dei campioni vuol dire anche avere un buon carattere e aiutare gli altri con le nostre buone azioni. Li guida a lavorare con spirito di squadra, a competere lealmente, ad essere coraggiosi e onesti e ad impegnarsi per migliorare. Comunque i suoi allievi nuotano meglio dei nuotatori adulti allenati da un allenatore più esperto che opera nello stesso club.

Eccellere sui colleghi e dover far fronte alla loro reazione, senza, per altro, ridurre il proprio impegno può risultare piuttosto difficile e coinvolge diversi principi spirituali che riguardano sia il nostro comportamento che il nostro modo di lavorare con gli altri. È impegnativo mantenere buoni rapporti quando gli altri si credono in competizione e si sentono i perdenti.

Gli insegnamenti bahá'í incoraggiano ogni lavoratore ad “impegnarsi con tutto il cuore nel proprio lavoro” (‘Abdu’l-Bahá, Foundation of World Unity 43, traduzione personale). Inoltre dicono che: “Il lavoro svolto in spirito di servizio è la forma più elevata di preghiera” (‘Abdu’l-Bahá, Divine Philosophy 78, traduzione personale). Quando crescono i loro figli, ai genitori è chiesto: “Abituateli a lavorare e ad ingegnarsi, e rendeteli avvezzi alla fatica”. (‘Abdu’l-Bahá, Antologia 126) In altre parole gli insegnamenti bahá'í ci chiedono di impegnarci a diventare esseri umani migliori, a fare bene il nostro lavoro e a servire gli altri.

Ma cosa succede se il nostro lavoro migliore scatena sentimenti di inadeguatezza e di insicurezza o anche di gelosia negli altri? Che responsabilità abbiamo di aiutarli ad affrontare questi sentimenti e quale è il cammino di sviluppo spirituale che essi devono compiere da soli? Bahá’u’lláh ci fa questo invito:
Adopratevi a essere fulgidi esempi per tutta l'umanità e vero ricordo delle virtù di Dio infra gli uomini.  (Bahá’u’lláh, Tavole 126)
Avere a che fare con persone che si trovano in difficoltà a causa di un sentimento di inferiorità ci sprona a essere molto modesti e a dimostrare spirito di servizio. Modestia significa capire che ci saranno sempre persone migliori di noi, in qualsiasi cosa noi facciamo. Anche se vediamo che stiamo in qualche modo eccellendo sugli altri possiamo comunque imparare da loro. Un atteggiamento modesto di apprendimento ci porta a vedere tutti come figli di Dio con doni da offrire. Possiamo aiutare tutti quelli che incontriamo a sviluppare amor proprio e fiducia in se stessi.

La modestia ci rende anche possibile condividere ciò che abbiamo imparato con gli altri. Ci aiuta ad evitare la tentazione di essere arroganti e superbi, atteggiamenti inevitabilmente controproducenti. Se gli altri capiscono che vogliamo essere utili per il bene di tutti la loro diffidenza si può ammorbidire.

È anche saggio ricordare che un principio cruciale in tutte le relazioni interpersonali è quello di costruire unità. Questo principio lo osservo nel mio amico allenatore: i suoi nuotatori sanno che per essere campioni occorre sostenersi a vicenda con entusiasmo e incoraggiamento; loro si comportano come veri compagni di squadra.

Lo stesso spirito di squadra è fondamentale anche fra gli allenatori. La reputazione di ciascun singolo allenatore è legata alla reputazione e ai risultati dell’intero club. Sinergia e risultati sono legati dall’interdipendenza. Sbagliamo se non ci rendiamo conto che, sul posto di lavoro, il bene del dipartimento o dell’azienda sono più importanti dei nostri risultati individuali.

Gestire situazioni come questa richiede certamente doti come il tatto e l’onestà. È bene saper di dire ad un collega: “Vedo che si sta presentando questa situazione e vorrei che potessimo cooperare perché si risolva positivamente per la nostra organizzazioni e per noi come individui”. Gli insegnamenti bahá'í ci danno delle indicazioni, a questo proposito, invitandoci a comunicare in modi che influenzino positivamente i nostri interlocutori:
L'umana favella è una realtà che aspira a esercitare il proprio ascendente e richiede moderazione. In quanto al suo ascendente, esso è condizionato dal perfezionamento, che a sua volta dipende dal distacco e dalla purezza del cuore. In quanto alla sua moderazione, essa deve essere congiunta a tatto e saggezza… (Bahá’u’lláhTavole 130)

Ogni parola è dotata di spirito e perciò l'oratore o l'espositore devono prudentemente parlare a tempo e luogo, perché l'effetto che ciascuna parola produce è lampante e manifesto. Il Grande Essere dice: Una parola può essere paragonata al fuoco, un'altra alla luce e l'influenza che entrambe esplicano è palese nel mondo. Perciò il saggio illuminato deve usare innanzi tutto parole blande come il latte, onde i figli degli uomini siano nutriti ed edificati e pervengano all'ultima meta dell'esistenza umana che è lo stadio della vera comprensione e nobiltà. (Bahá’u’lláhTavole 155)
La nobiltà è fondamentale in questo tipo di situazioni. Se ogni persona coinvolta arrivasse ad apprezzare la propria innata nobiltà di essere umano che ha la capacità di lavorare e di servire, di puntare all’eccellenza e di contribuire al miglioramento degli altri allora inizieremmo a percorrere un cammino verso il vero successo.

Queste sono opinioni puramente personali e non rappresentano l'opinione della comunità bahá'í o di qualunque sua istituzione. Gli scritti bahá'í invitano ogni singolo ad una libera ed indipendente ricerca:
O FIGLIO DELLO SPIRITO!
Ai Miei occhi la più diletta di tutte le cose è la Giustizia; non
allontanartene se desideri Me, e non trascurarla acciocché Io
possa aver fiducia in te. Con il suo aiuto ti sarà possibile discernere
coi tuoi occhi e non con gli occhi degli altri, e apprendere
per cognizione tua e non con quella del tuo vicino. Pondera
ciò nel tuo cuore, come t’incombe d’essere. In verità la Giustizia
è il Mio dono per te e l’emblema del Mio tenero amore.
Tienila adunque innanzi agli occhi. (Bahá’u’lláhParole Celate, Arabo, n.2)

1 commento:

MASSIMO ha detto...

Complimenti mi è piaciuto molto

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