sabato 10 settembre 2016

La Bahá'í International Community si appella al Presidente Rouhani per porre fine alla sistematica oppressione economica

New York, 6 settembre 2016, (BWNS) – La Baha’i International Community si è appellata al Presidente dell’Iran, dottor Hassan Rouhani, affinché ponga fine alla grave oppressione economica imposta ai baha’i di quel Paese.



L’appello è contenuto in una lettera inviata al presidente Rouhani che mostra come, fin dall’inizio della Rivoluzione islamica nel 1979, i baha’i in Iran siano stati oggetto di molti atti continuativi di persecuzione, inclusa una spietata campagna di strangolamento economico che continua a tutt’oggi e non dà segno di miglioramento con la sua elezione.

Per leggere la lettera in persiano si vada su
https://www.bic.org/sites/default/files/pdf/ran/160906ˍbicˍletterˍtoˍrouhaniˍonˍeconomicˍoppressionˍpersian.pdf

Per leggere la lettera in inglese si vada su
https://www.bic.org/sites/default/files/pdf/ran/160906ˍbicˍletterˍtoˍrouhaniˍonˍeconomicˍoppressionˍenglish.pdf

La lettera firmata da Bani Dugal, rappresentante principale della Baha’i International Community presso le Nazioni Unite, attira l’attenzione sulla totale contraddizione tra le dichiarazioni del governo iraniano relative a giustizia economica, uguaglianza per tutti e riduzione della disoccupazione, da un canto, e gli implacabili sforzi per impoverire un settore dei propri cittadini, dall’altro.

La lettera sottolinea i modi in cui questa campagna economica è stata intrapresa contro i baha’i secondo una linea premeditata: espulsione dei dipendenti nel settore pubblico; gravi limiti nel settore privato; esclusione da una vasta gamma di commerci e professioni con l’offensivo pretesto di essere religiosamente «impuri»; confisca di patrimoni; azioni di disturbo nel campo degli affari e chiusura di negozi. Quando un baha’i è arbitrariamente arrestato, l’imposizione di alte somme per la cauzione per la libertà provvisoria ha un grave effetto economico sulla comunità.

Oltre a tutto ciò, la lettera fa riferimento all’impatto economico dell’oppressione sui giovani baha’i: artisti, atleti e studenti. «Le conseguenze economiche derivanti dalla negazione ai giovani baha’i dell’opportunità di sviluppare i loro talenti, che sono dono di Dio, sono notevolmente più pesanti di molte altre forme di oppressione», afferma la lettera.

La lettera, definisce questa sistematica discriminazione un «apartheid economico» e chiede esplicitamente al Presidente: «Come può un governo decidere deliberatamente di impoverire un settore della propria società? Come giustificheranno ciò che hanno fatto i responsabili delle conseguenze finanziarie, sociali e psicologiche di queste discriminazioni? Quale criterio religioso o civile sancisce un’esclusione calcolata di una popolazione dalla partecipazione alla vita economica del proprio Paese? Come si può continuare a parlare di costruzione di una società giusta e progredita davanti a tale sistematica ingiustizia?».

La lettera si appella al presidente Rouhani perché riveda urgentemente la situazione dei baha’i e ponga rimedio alla situazione.

Recentemente un commovente e potente documentario prodotto da alcune persone in Iran, che descrive la terribile sofferenza economica dei baha’i, ha attirato l’attenzione dei media. Amnesty International ha presentato il documentario nella sua pagina di face book.

Si veda la relazione speciale sull’oppressione dei baha’i di Iran pubblicata in inglese nel 2015 dalla Baha’i International Community:
https://www.bic.org/sites/default/files/pdf/their-progress-and-devlopment-are-blocked.pdf

Per leggere l’articolo on line, vedere le diapositive e le fotografie e i link collegati si vada a:
http://news.bahai.org/story/1119

Se ritenete che le continue violazioni dei diritti umani nei confronti della comunità bahá’í iraniana debbano cessare per favore condividete l'articolo sui social network usando i pulsanti che trovate qui in fondo.

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Di seguito il testo, tradotto in italiano, della lettera inviata dalla BIC al presidente Rouhani

BAHÁ’Í INTERNATIONAL COMMUNITY
Ufficio delle Nazioni Unite

6 settembre 2016

Sua Eccellenza Hassan Rouhani
Presidente della Repubblica Islamica dell’Iran

Vostra Eccellenza,

l’Ufficio della Bahá’í International Community presso le Nazioni Unite, che rappresenta i bahá’í di oltre 230 paesi e territori nei cinque continenti, vorrebbe rispettosamente richiamare la Sua attenzione sulla totale contraddizione che esiste tra le dichiarazioni di «oculatezza e speranza» fatte dal Governo nella «creazione di pari giustizia per tutti gli iraniani» e nella «promozione di posti di lavoro» e nella «riduzione della disoccupazione» da un lato, e l’implacabile oppressione economica imposta alla comunità bahá’í nella Sua nazione dall’altro, e chiedere l’immediata considerazione della questione. Questa oppressione economica continua da quattro decenni e purtroppo non vi sono stati segni di miglioramento dopo l’insediamento del Suo governo.

I bahá’í sono parte dei cittadini di quella terra i cui diversi popoli Sua Eccellenza, in uno dei Suoi recenti discorsi, ha paragonato ai «rami di un forte albero che si chiama Iran». La storia degli ultimi 170 anni attesta la loro lealtà e i loro contributi costruttivi alla loro amata patria. Indipendentemente dalle opinioni espresse da alcune autorità sulle credenze e sulle pratiche religiose bahá’í, il concetto che tutti i cittadini hanno uguale diritto ai basilari diritti è sottoscritto dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, è confermato dalla Costituzione della Repubblica Islamica dell’Iran ed è uno dei requisiti fondamentali per la creazione di una società illuminata. Fin da quando la Fede bahá’í è nata in Iran nel 1844, la grave e continua opposizione dei fanatici religiosi appoggiati dai governi dell’epoca continua a mettere in pericolo le persone, i mezzi di sussistenza e le proprietà dei seguaci della Fede bahá’í, luoghi sacri e cimiteri compresi. In seguito alla Rivoluzione islamica nel 1979, questa persecuzione ha preso una piega diversa ed è diventata un importante indirizzo politico del governo dell’Iran. Lo scopo di questa lettera non è elencare tutte le varie forme di oppressione imposte ai bahá’í iraniani – in quanto ciò farebbe di questa lettera un vero e proprio trattato – ma piuttosto offrire una sintesi delle limitazioni economiche che essi stanno affrontando da circa 40 anni.

Agli inizi della Rivoluzione, migliaia di bahá’í dipendenti di ministeri, dipartimenti statali e altri enti sono stati espulsi dal posto di lavoro senza alcun indennizzo; le loro pensioni sono state tagliate e alcuni sono stati costretti a rimborsare gli stipendi che si erano guadagnati con il loro lavoro. Diversi operai bahá’í sono stati licenziati dalle fabbriche e dalle aziende di proprietà intera o parziale del governo senza alcun indennizzo per gli anni di lavoro, senza alcuna buonuscita o indennità assicurativa cui avevano diritto. Il divieto di impiegare i bahá’í nel settore pubblico della loro terra natale resta tutt’ora in vigore.

Quando i bahá’í sono stati completamente esclusi dai posti di lavoro statali, l’attenzione si è rivolta al settore privato. Per limitare pesantemente le attività economiche dei bahá’í in questo settore sono stati usati metodi vari, come per esempio fare pressione sulle aziende perché licenziassero i dipendenti bahá’í, costringere le banche a bloccare i conti dei clienti bahá’í e usare tattiche discriminatorie per impedire di assegnare eventuali progetti a bahá’í adeguatamente qualificati. Con il pretesto irrazionale e offensivo che essi sono religiosamente «impuri», è stato proibito ai bahá’í di accedere a una vasta serie di commerci e professioni. Spesso si impedisce di rilasciare o di rinnovare licenze commerciali ai bahá’í in altri campi tramite numerosi ostacoli e deliberati ritardi. Molte proprietà bahá’í sono state confiscate sulla base di accuse pretestuose e, in questo modo, molte fiorenti aziende agricole sono state strappate ad attivi agricoltori, alcuni dei quali avevano precedentemente ricevuto lettere di apprezzamento dal governo, e molte floride fabbriche e promettenti imprese sono state chiuse. Innumerevoli casi di ingiustizia – come quando gli uffici competenti hanno rifiutato la licenza a un tassista dicendogli esplicitamente che era a causa della sua Fede, quando un chiosco di proprietà di una persona disabile è stato ripetutamente oggetto di vandalismi e infine confiscato perché «un bahá’í non ha il diritto di lavorare» o quando ai bahá’í di una provincia è stato arbitrariamente negato il diritto di importare merci da altre provincie dell’Iran – sono tutti giustificati con la scusa infondata di combattere una «minaccia alla sicurezza nazionale». Negli ultimi anni, molti bahá’í hanno dovuto affrontare un nuovo problema. Quando chiudono i negozi per osservare uno dei Giorni sacri bahá’í, che sono molto pochi e sparsi nel corso dell’anno, le autorità bloccano le attività e minacciano di ritirare i permessi di lavoro.

Parallelamente alle azioni sopra menzionate, molti beni patrimoniali di proprietà della comunità bahá’í, come luoghi sacri, edifici amministrativi, cimiteri e perfino fondazioni filantropiche, sono stati confiscati senza alcuna giustificazione legale; proprietà di valore che erano state donate alla comunità nel corso degli anni sono state saccheggiate; istituzioni finanziarie con notevoli somme di risparmio, alcune a favore di bambini bahá’í, sono state requisite. Nelle città, spesso queste confische avvenivano contemporaneamente all’arresto e in alcuni casi all’esecuzione capitale di alcuni bahá’í, mentre nelle zone rurali questi eventi si verificavano mediante coercizione e violenze.

Le conseguenze economiche derivanti dalla negazione ai giovani baha’i dell’opportunità di sviluppare i loro talenti, che sono un dono di Dio, sono notevolmente più pesanti di molte altre forme di oppressione. Numerosi sono gli artisti o atleti bahá’í ai quali è stato impedito di sviluppare il proprie evidente talento e di intraprendere carriere di successo nei rispettivi campi.

E molti sono coloro che desiderano ardentemente proseguire gli studi, ma, essendo loro proibito di iscriversi alle scuole per studenti dotati o di frequentare le università, vedono il loro progresso tramite le istituzioni educative del paese crudelmente bloccato. Subito dopo la Rivoluzione, oltre ad espellere dalle università gli accademici bahá’í, i responsabili degli aspetti culturali della Repubblica Islamica hanno espulso anche gli studenti bahá’í – alcuni negli ultimi mesi del loro corso di studi – e hanno impedito ai nuovi aspiranti bahá’í di iscriversi all’università. Questa espulsione è stata formalmente istituita come politica governativa quando, nel 1991, il Consiglio supremo della Rivoluzione culturale ha creato una regola legislativa che proibisce ufficialmente ai giovani bahá’í di entrare negli istituti di studi superiori. La terza clausola di questo documento non solo vieta che i bahá’í sia iscritti all’università ma stipula anche che gli studenti identificati come bahá’í in qualsiasi memento dei loro studi debbano essere immediatamente espulsi e privati di qualsiasi ulteriore istruzione.

I bahá’í subiscono anche altri atti di persecuzione, ognuno dei quali ha notevoli conseguenze economiche negative, come ripetuti attacchi alle case e saccheggi di vari beni, arresti illegali per falsi «crimini» e imposizioni di cauzioni estremamente elevate, l’imposizione di limiti legali all’eredità tra bahá’í, azioni volte a incutere paura e insicurezza mettendo in atto politiche anti-bahá’í.

Signor Presidente,

questo apartheid economico contro un cospicuo settore della popolazione dell’Iran ha innegabili conseguenze negative sulla dinamica economica del paese e in definitiva priva l’Iran di considerevoli risorse umane ed economiche. Come giudicherà la storia coloro che hanno redatto e applicato questo schema di strangolamento economico? Come può un governo decidere deliberatamente di impoverire un settore della propria società? Come giustificheranno ciò che hanno fatto i responsabili delle conseguenze finanziarie, sociali e psicologiche di queste discriminazioni? Quale criterio religioso o civile sancisce un’esclusione calcolata di una popolazione dalla partecipazione alla vita economica del proprio Paese? Come si può continuare a parlare di costruzione di una società giusta e progredita davanti a questa sistematica ingiustizia? Quale garanzia esiste che altri settori della popolazione non possano affrontare la medesima discriminazione con pretesti analoghi? Quali risposte potrebbero soddisfare le preoccupazioni espresse da iraniani informati di questa oppressione inflitta a cittadini loro confratelli? Come si può conciliare il contrasto tra queste privazioni e il desiderio di ottenere lo sviluppo economico dell’Iran collaborando con la comunità internazionale? In che modo le discriminazioni contro i bahá’í concordano con le affermazioni, fatte da rispettati rappresentanti della Repubblica Islamica negli ambienti internazionali, che il loro governo intende migliorare la condizione economica del paese per tutti i suoi cittadini? E soprattutto, le autorità responsabili di un governo che afferma di aderire agli ideali dell’Islam, potranno rendere conto di queste azioni alla presenza dell’Onnipotente Iddio?

Sarebbe lodevole se i membri del governo riflettessero sui danni che queste ingiustizie arrecano alla società iraniana, ai giovani di quella terra, che sono il suo futuro – giovani che sostengono l’uguaglianza e la nobiltà delle persone di diverse origini, razze e credi e che sono consapevoli che il loro paese e i suoi cittadini non potranno conseguire la suprema prosperità e felicità se non seguendo questa via. La domanda che queste giovani lungimiranti rivolgono a Sua Eccellenza, in quanto custode della protezione dei diritti di tutti i cittadini dell’Iran, è questa: dato che credere nella Fede bahá’í non è un crimine, perché i bahá’í devono subire questa completa violazione dei loro diritti civili, economici, sociali e culturali? È deplorevole che la lealtà dei bahá’í al loro paese e i loro sinceri sforzi di contribuire al suo benessere siano stati sistematicamente ignorati a causa di radicati pregiudizi, della distorsione della storia e dell’asservimento a teorie del complotto, mentre individui fanatici sono lasciati liberi di diffondere calunnie infondate contro di loro.

Quando apparve il pregiudizio, la virtù fu nascosta
Cento veli salirono dal cuore agli occhi.

La Sua dichiarata intenzione di portare all’Iran «speranza, tranquillità e prosperità economica» e di trovare modi innovativi perché il Paese possa beneficiare delle capacità e delle risorse di tutti i suoi cittadini, indipendentemente dal genere, dall’etnia o dalla religione, è lodevole. La visione che Lei ha descritto di «pari diritti di cittadinanza e opportunità per tutti» e «un’equa distribuzione della ricchezza per migliorare il livello di vita della gente» non è stata dimenticata e molti ancora sperano di vedere questi alti ideali realizzati in un futuro non troppo lontano. I bahá’í dell’Iran amano fervidamente la loro patria. Si impegnano per contribuire alla costruzione di una società progressiva e dinamica. Credono nell’unicità di Dio, nell’unità del genere umano e nell’unicità della religione. Considerano loro dovere morale favorire l’unità e la concordia e, malgrado la dura oppressione che subiscono, non sono ostili contro alcuna autorità o persona. Essi vogliono educare i loro figli in modo che, facendo affidamento sulle risorse spirituali e materiali, le future generazioni possano dedicare la loro vita al servizio dell’umanità e del loro paese. Sarebbe opportuno che si creasse un ambiente in cui l’esperienza della comunità bahá’í potesse essere utilizzata, assieme all’esperienza degli altri cittadini, per il progresso e l’avanzamento del paese.

La Bahá’í International Community si aspetta che Lei chieda al Suo governo di intraprendere un’immediata revisione dell’oppressione economica imposta ai bahá’í, la più numerosa minoranza non islamica del Suo paese, e di rimuovere gli ostacoli nel corso del tempo ma con un ritmo ragionevole.

Con rispetto,

(firmato)

Bani Dugal

Rappresentante principale

Bahá’í International Community

cc: Missione permanente della Repubblica Islamica dell’Iran presso le Nazioni Unite

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